SANREMO – “Sono sul treno che mi porta a Sanremo. Sì certo, prima si farà tappa a Milano per tamponi, interviste e tante piccole, grandi cose ma non conta. Questo treno mi porta solo a Sanremo, di nuovo. La prima volta fu nel 2005. Con i Negramaro in gara. Avevo una felpa verde, quella solita da tempo addosso e un giubbino di pelle nero, comprato “dai polacchi”.” E nella valigia la felpa verde c’è ancora.
Lo scrive Giuliano Sangiorgi, frontman dei Negramaro, in un post su facebook denso di ricordi. I ricordi della prima volta. Che come tutte le prime volte spaventa e incute timore. Specialmente se si tratta del palco dell’Ariston. I Negramaro tornano in questo 2021 sul palco. Lo fanno da protagonisti, da ospiti speciali, portando un pezzo di Salento in prima serata su Rai Uno.
“Andava molto di moda non essere alla moda a quei tempi, comprare abiti che nessuno poteva avere se non solo tu. E quindi “il mercatino dei polacchi” era una fonte inesauribile di grandi personalità da costruire a forza di jeans strappati, giacche esclusive e odorose di strada e vita, di altri. Si era “cool” solo se si era controtendenza, se non si seguiva la mischia, se si era “indie”, indie davvero, tipo che proprio nessuno ti teneva in considerazione fino al millesimo concerto e i giornalisti parlavano di te con non molto futuro negli occhi e pochissime parole che facevano presagire un talento. Tu, di base, eri giovane, troppo giovane. categoria emergenti e lo restavi fino a prova contraria, per sempre”, ricorda Sangiorgi ripercorrendo la strada fatta.
“Dovevi guadagnarti una menzione piccola, piccola e già ti sentivi sull’onda giusta, provavi almeno a crederci che quella fosse un’onda perfetta. – scrive – Ma poi sprofondavi nell’oceano che non ti reggeva su quell’onda per poco più di un istante. Calava il silenzio e l’”hype” (questo strano mostro fagocitante del nuovo decennio, o meglio di un lustro, o meglio di oggi) non riempiva le bacheche dell’università. Questo lo facevano timidamente solo concerti in bianco e nero, almeno sulla locandina, che a farla a colori sarebbe costata troppo. E credendoci, andavi avanti con una corazza che i giovani emergenti dovevano costruirsi per resistere alle intemperie del tempo e quelle soffiavano addosso e smussavano gli angoli per farti meglio aderire al paese “ideale”. Ci mettevi una vita ma restavi nel paese reale, dove tutto era diverso e pieno di duro lavoro”.
“Così dopo il millesimo concerto scegliemmo di andare a Sanremo. “Siete pazzi!” ci disse Caterina Caselli Sugar la nostra cara produttrice e amica. “Dopo tutto il lavoro in direzione contraria al mainstream, volete finire nella tana delle tigri”. La tana delle tigri, devo averla messa io nei ricordi sfalsati dalla prepotenza dell’uomo tigre e di tutti quei cartoni che si facevano sentire in tutte le mie cose. Avevo poco più di vent’anni, ci stava non essere svezzati ancora da tutti quei supereroi in pixel”. Poi lo svezzamento sarebbe arrivato, a suon di successi, fino ad arrivare al loro ultimo lavoro, “Contatto”.
Da cosa nacque l’idea di Sanremo è presto detto: “Per farci vedere da un pubblico gigantesco, una volta per tutte e senza mezze misure, per accorciare le distanze, per sapere se stessimo parlando una lingua comprensibile alle generazioni contemporanee, se stessimo raccontando storie credibili non solo nostre ma aperte a finali che chiunque avrebbe potuto scrivere per sé, per tutto questo e molto altro andammo a Sanremo. Non sentivamo la gara perché la gara in musica è come richiedere un obiettività nel giudizio che proprio nell’arte poco esiste. Una canzone brutta non esiste. Una canzone bella non esiste. Una canzone inutile non resiste. Sentivamo solo che era il momento per capire a cosa potevamo aspirare. Potevamo davvero continuare a fare della musica la nostra vita?”.
Per loro hanno risposto i fan. Ma all’inizio, i dubbi erano reali: “Avrebbe contato per tante persone o avremmo finto di essere incompresi e avremmo scritto e cantato per i muri delle nostre stanzette, piene di poster e sogni che mai avremmo raggiunto? Avremmo sognato in grande, o avremmo smesso di farlo? Volevamo sapere, avevamo bisogno di sapere. Non c’erano streaming e numeri da dito compulsivo per avere la possibilità di capirlo senza passare necessariamente dal confronto con il pubblico on the road. E i giovani non erano così agevolati. Anzi. Oggi è cambiato tutto, finalmente. E più sei giovane, più sei forte, più intorno a te non hanno nessun freno a dire cose bellissime e avere elogi da star consumate. Finalmente siamo nel futuro degli anni “60”. La rivoluzione è arrivata!”, sottolinea Sangiorgi.
Oggi è un tempo nuovo. “Ci sono finalmente tutte facce nuove e i giornalisti non fanno finta di nulla, anzi, li elogiano, parlano di loro senza paura di sbilanciarsi troppo. Ecco, in questa nuova storia, in questo nuovo viaggio verso Sanremo, sono finalmente felice che le cose siano cambiate. I “big” sono i giovanissimi che si sono fatti sentire in questi ultimi tempi, dei quali hanno scritto intere pagine e senza pudore nel definirli “geni”, rivoluzionari, unici e speciali li hanno finalmente osannati. Ecco, la rivoluzione è arrivata e si chiama musica e la musica non può essere giudicata solo in base a quanta strada hai fatto fino a questo o quel Sanremo. Certo la musica non è nemmeno solo streaming e solitudine da cameretta. Ma questa è tutta un’altra storia e sono certo, che per i concerti, invece, torneranno i vecchi tempi, e in questo caso, ce li meritiamo tutti i vecchi tempi. Giovani e vecchi!”.
“Il treno – conclude Sangiorgi – mi dice di alzare il culo e scendere. Una gigantografia dei miei Negramaro grande quanto un grattacielo mi accoglie a Milano. Sorrido e non vedo l’ora di raggiungere Sanremo. Ho la felpa verde nella valigia. Quasi quasi la indosso e vado incontro al mio destino, di nuovo”.
Immagine dal profilo facebook di Giuliano Sangiorgi