LECCE – Forse la ricchezza stava nelle piccole cose. Quelle che oggi, dopo un anno di pandemia, tra chiusure, riaperture e un nuovo, stancante, lockdown, benché con maglie più elastiche rispetto al precedente, mancano davvero tanto.
Come un aperitivo tra amici, una cena fuori a lume di candela, una passeggiata notturna in riva al mare con il partner, un pranzo di famiglia allargato a zii, nonni e parenti, una sortita in palestra, in milonga o in una spa. Senza parlare, poi, della concitazione prima di imbarcarsi su un volo diretto chissà dove.
L’emergenza sanitaria ha riscritto tutto, quotidianità, rapporti umani e professionali, stili di vita. Ha spazzato via posti di lavoro, diritti, esigenze, ha costretto tutti a misurarsi con una impensabile fragilità. L’essere umano si è scoperto vulnerabile. E si è sentito, improvvisamente, solo tra le mura di casa o, peggio, in una stanza d’ospedale dove solo l’accesso al personale sanitario è consentito. La cerchia di amici, la famiglia – nucleo sociale teso a proteggere dalla malignità del mondo – sono diventate improvvisamente aree di intensa circolazione del nemico, il virus che di colpo ha cambiato le sorti del mondo.
Un nuovo mondo. Con strade e piazze vuote, i gazebo dei locali deserti, le sedie stancamente ammassate in un angolo, “così vuote, così persone, così abbandonate”, per usare le parole di Roberto Vecchioni nella sua poetica e malinconica “Vincent”. E gli ombrelloni chiusi, in attesa di tempi migliori. Che arriveranno, certamente. Ma la tempistica è incerta. Tra vaccini e anticorpi monoclonali la speranza è che si possa uscire presto a rivedere le stelle, novelli vagabondi senza Virgilio a fare da guida, con la propria forza e il proprio senso di responsabilità quale unici punti di appoggio. Ed ecco alcune istantanee dalla zona rossa, che non è stata recepita da tutti allo stesso modo. Ma, al netto dell’irresponsabilità di alcuni, essa ha almeno in parte modificato l’aspetto consueto delle città.
Lecce
Centro deserto. Ogni tanto un passante. E un gatto bianco che – quanta invidia – non ha bisogno di spiegare ad alcuno la ragione del suo lento incedere.
Copertino
Locali chiusi anche a Copertino. Strade e piazze del centro appaiono vuote. Il movimento, nella città del Santo dei voli, non manca, e assembramenti sono stati anche rilevati e sanzionati dalle forze dell’ordine, ma la zona rossa ha portato un’aria di mestizia. E c’è paura per il dilagare dei contagi che nelle ultime settimane in provincia hanno fatto segnare numeri record.
Nardò
Un salto, ora, a Santa Maria al Bagno e a Santa Caterina, desolate e deserte, con i locali chiusi, le strade poco o per nulla animate. Perle dello Jonio di rara bellezza, scrigni preziosi. Ma l’estate sembra quanto mai lontana: aggirarsi per questi luoghi in zona rossa è come fare un tuffo nella malinconia.
Leverano
Non va meglio a Leverano: anche qui locali chiusi e un centro storico di straordinaria bellezza, come una bomboniera da scartare. Forse la pandemia con le sue restrizioni ha un aspetto positivo: i luoghi, svuotati di movimento, appaiono però nella loro genuina bellezza, senza finzioni e trucchi. E capita anche di scoprire angoli ricchi di suggestioni.
Veglie
Stessa sensazione a Veglie: una cittadina di squisita bellezza, con una piazza centrale che sembra una cartolina. Le panchine vuote, le strade deserte, la vita chiusa dentro casa conferiscono ai luoghi un aspetto poco consueto, post atomico, quasi, come dopo un conflitto. In fondo anche la pandemia è una guerra. Solo che il nemico è invisibile. E implacabile.
Porto Cesareo
La regina dell’estate, Porto Cesareo. Con i suoi lidi brulicanti di vita, i suoi locali punto di riferimento per il divertimento, le sue strade affollate al punto che trovarvi un parcheggio è impossibile. D’estate, a Porto Cesareo, si vive di giorno e di notte, senza sosta, senza tregua. Ma in zona rossa l’aspetto è decisamente differente.